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Indice di Farindola

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Farindola: elementi di storia  

Serafino Razzi

Ferdinando Buccalaro Vincenzo Barbieri Stanislao Cretara  

 

Ferdinando Buccalaro 

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Ferdinando Buccalaro 

 

Per l’Università di Farinola 

Contra la Città di Penne

Meritissimo Commissario

L’Illustre Conte Signor D. Cesare Coppola

Presidente della Regia Camera

Presso il Magn. Attuario Gioacchimo Cangiano  

Napoli il dì 30 di Marzo 1776, 

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Cap. I

In cui si dimostra, che il Molino della Città di Penne sito nel Territorio dell'Università di Farinola sia Corpo allodiale e burgensatico, e come tale soggetto al pagamento della bonatenenza.

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CAP. II  

In  cui si dimostra, che se non fosse, siccom’è, allodiale il Molino, non compete alla Città di Penne jus di proibire a’ Naturali di Farinosa di poter macinare in altri Molini, e di costruirne altri.

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Introduzione

Possiede la Città di Penne un Molino nel Territorio Demaniale dell’Università di Farinola, che dà in affitto per tumoli circa 360 di grano l’anno, né se ne fa il titolo. Per antica tradizione però si ha, che sia stato della suddetta Università, tanto vero che li di lei Camerlenghi son franchi dal peso della mulitura. Con tal possesso ha preteso la mentovata Città, che il Molino sia feudale col diritto di proibire a’ Naturali di Farinola di potere in altri molini macinare il frumento, e di poterne altri per loro proprio  uso costruire. Ma per quanto abbia io esaminati gli Atti della controversia su tal punto per 48 anni agitata nel Tribunal della Regia Camera, non ho potuto col corto mio intendimento rinvenir ragione, per cui il Molino della Città di Penne, alla quale altro non fu conceduto che la semplice giurisdizione civile e criminale, possa, o debba esser feudale, qualora né per Real Concessione, né per tassa in Cedolario, né per pagamento di Quindemii  di tal natura apparisce.

Anzi al contrario lo ha la medesima enunciato per burgensatico e allodiale; come tale l’ha obbligato con pubblico istrumento a’ suoi creditori; e, avendolo rilevato nella formazion del Catasto di detta Università di Farinola, ne ha pagata, e ne paga la bonatenenza. E quindi non so intendere su qual fondamento appoggia Ella l’altra strana pretensione di esserv’ingiunto il jus proibitivo, senza la menoma apparenza di qualità feudale, senza dimostrazione di Privilegio, né prova di legittima prescrizione, o di vetusta consuetudine; come colla narrazione dè fatti darò a divedere.  

Nell’anno 1728 essendosi instato dall’Università di Farinola sottrarsi non solo dall’indebito jus proibitivo preteso dalla Città di Penne di poster i di lei Naturali andare a macinare il frumento in quei Molini, che meglio loro fosse paruto, e piaciuto, e di poterne altri per proprio uso costruire; ma di sottoporre il Molino di essa Città costruito nel Territorio demaniale di Farinola, come burgensatico e allodiale, al pagamento della bonatenenza, ne fu introdotto giudizio nel Tribunal della Regia Camera [1]. Si commise alla Regia Udienza di Teramo di proveder di giustizia sull’esposto, intese le parti; e di ordinare alla Città di Penne di esibire tra 15 giorni il titolo del preteso jus prohibendi  [2].

Alla divisata istanza, e all’ordine della Regia Camera si oppose la Città di Penne, con asserire: Che possedeva il menzionato Molino col jus prohibendi come corpo feudale, di cui sene trovava in possesso ab antiquo et ultra centenariam; talchè non era stato mai descritto in Catasto dell’Università di Farinola, alla quale non aveva pagata mai bonatenenza. E quindi chiese non  esser molestata, ed esser mantenuta in tal possesso [3].

Ma ripetendo l’Università di Farinola le cose prima dedotte, ragionatamente evacuò quanto dalla Città di Penne si era asserito. E instò ordinarsi di essere lecito poter edificare nel proprio Territorio uno, o più Molini per maggior comodo dè Naturali; senzachè la Città suddetta avesse potuto impedire, e vietare a’ medesimi di macinare il loro grano in altri Molini [4].

E in discussione delle vicendevoli cose dedotte dall’Avvocato Fiscale Santoro nel dì 15 Marzo 1729 si fece la seguente istanza: Fiscus, partibus auditis, visis praesenti comparitione, aliisque per utramque partem praesentatis, et omnibus actis, quod Caput Molendini instat, quod magnificus Rationalis Regii Cedularii referat occurentia. Et interim UNIVERSITAS CIVITATIS PINNARUM SE ABSTINEAT A PRAETENSO JURE PROHIBENDI [5]; a tenore della quale nel dì I Aprile dello stesso anno fu interposto Decreto, anche intese le parti, dal Commissario allora Presidente de Maria ordinante: Magn. Rationalis Commissarius Regii Cedularii referat occurrentia; Et interim UNIVERSITAS CIVITATIS OINNARUM SE ABSTINEAT A PRAETENSO JURE PROHIBENDI [6].Ed essendosene gravata la Città di Penne con istanza di contrario imperio [7] l’Università di Farinola ne produsse supplica di referat in Regia Camera ad finem confirmandi  [8]. Ma non si diede provvidenza alcuna sino a che non si formò l’ordinata relazione.

Il Razional Carideo Commessario del Regio Cedolario nel dì 6 Maggio del detto anno [1729] avendo data fuora la Relazione ordinatagli, si fè carico delle pretensioni dell’una parte e l’altra, e di una copia di Diploma del Re Ferdinando colla data di Sarno del dì 1 Aprile 14 72 presentata negli atti [9], e riferì: “Che tal Molino affatto non costava la qualità feudale; accagionchè i quindemj pagati alla Regia Corte dall’anno 1500 per tutto l’anno 1710 pagati si erano per la sola giurisdizion criminale; né per lo Molino vi era alcuna Concessione Reale, né si era pagato mai alcun quindemio. Circostanze tutte, senza le quali non poteasi riputar feudale” [10].

E propostasi la Causa in Regia Camera nel dì 28 Giugno 1729, fu confermato il precitato Decreto del dì 1 Aprile interposto dal Presidente de Maria: QUOD CIVITAS PINNARUM SE ABSTINEAT A PRAETENSO JURE PROHIBENDI [11].

Non acquetossi la Città di Penne, ma impugnando tal Decreto, instò rivocarsi loco restitutionis in integrum, anche perché colle diligenze praticate erasi rinvenuto l’Istrumento della compera da lei fatta della Terra di Farinola fin dall’anno 1418 cole supposte prerogative necessarie, e in particolare colle giurisdizioni, acque, corsi di acque, e Molini [12]; in virtù delle quali, suppose, restar chiarito, e confermato l’antico possesso, in cui essa Città si ritrovava coll’enunciata facoltà [13].

Ma poiché giammai non fu deciso su la qualità del cennato Molino, se feudale o burgensatico fosse, ragionevole stimò l’Università di Farinola, precedente le dovute citazioni agli Amministratori della Città di Penne, sottoporlo nel 1745 a tassa nella formazione del general Catasto, facendo uso di ciocchè  nelle Reali Istruzioni viene stabilito nel Cap. XII della par. 2 cioè: Si prescrive, che tutti quei beni, per cui i Baroni non han pagati Rilevj, devono nella formazion del Catasto, e della Tassa reputarsi per Allodiali, e Burgensatici; e dovranno per essi i Baroni pagar la tassa. Sicchè se il Feudatario pretende, che un tal Fondo sia feudale, deve produrre la fede del pagamento del Rilevio per lo medesimo. Non esibendosi, non dovrà il Possessore essere immune dal pagamento della tassa a benefizio dell’Università. E se mai si pretende, che per risparmiarsi il pagamento del Rilevio siasi fatta frode al Fisco, e non siasi alcun Corpo feudale denunciato, avrà ciò bisogno di discussione, ed esame, e dovranno le Parti ricorrere nel Tribunal della Regia Camera, la quale, inteso il Feudatario, e’l Regio Fisco da una parte, e dall’altra l’Università interessata, deciderà della qualità o feudale, o burgensatica del fondo conteso, non impedito intanto il pagamento della tassa a benefizio dell’Università per quei Corpi, per cui Rilevio non si giustifica essersi pagato alla Regia Corte. Imperocché avendo la suddetta Città rivelato possedere il menzionato Molino dato in affitto per salme 120 di grano valutate per duc. 240, fu la medesima tassata per once 766,20 [14].

Su tal fondamento, quanto vero tanto stabile, ottenne l’Università di Farinola Provisioni dalla Regia Camera nel dì 17 Giugno 17 49 ordinanti, che la Città di Penne per lo divisato Molino pagasse la bonatenenza servata la forma del Catasto [15]. Per effetto delle quali si procedè al sequestro del grano che ritrovossi nel Molino. E mentre di quello proceder si doveva alla vendita, a ricorso fatto dalla Città di Penne nella Regia Camera, con Decreto del Presidente Farina interposto a’ dì 11 Agosto, precedente istanza fiscale, si disse: Moneantur partes ad audiendam provisionem faciendam per Regiam Cameram; Et interim firmo remanente sequestro facto nihil amplius innovetur sine ordine Regiae Camerae ad venditionem frumenti sequestrati [16].

Avverso del qual decreto da Farinola ne fu prodotta istanza di gravame [17] ed indi supplica di referat in Regia Camera ad finem revocandi [18], come quello, che fu per diametro contrario alla determinazione trascritta nelle Reali Istruzioni.

Ed essendosi di nuovo in virtù di Decreti della Regia Udienza di Teramo proceduto al sequestro di altro grano sistente nel Molino, con altre Provisioni del Presidente di Crescenzo del dì 30 Ottobre 17 55 fu ordinato ad istanza di Penne, che stante la pendenza della Causa nella Regia Camera, né l’Udienza di Teramo, né le altre Corti in tal causa proceduto avessero [19]. E con tali tergiversavi si procurò impedire all’Università di Farinola l’incontrastabile diritto di esiger la bonatenenza juxta Catastum di quel Molino, che indifficultabilmente è corpo burgensatico.

Ma non potè conseguire l’intento, poiché dal 1755 in avanti e fino al 1774 ha pagate sempre detta Città senza ulterior controversia le quantità,  nelle  quali  è  stata  posta in tassa per la bonatenenza del Molino predetto [20].

Ma comechè  dalla Città di Penne si è proccurato sempre sotto varj pretesti inquietare tanto l’Università di Farinola, quanto quei Naturali, per li quali, lusingandosi di opprimerli, poter ella esercitare quel dritto proibitivo, che per nessuna ragione le appartiene; ha stimato detta Università dimandare la spedizion della Causa, col riferirsi in Regia Camera la supplica della restituzione in intrgrum prodotta da Penne fin dal 1739 avverso il Decreto col quale fu ordinato: Quod Civitas Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi [21] ; e fu tal petizione dall’Illustre Signor Conte Coppola Presidente Commissario co Decreto del dì 6 Febbrajo di quest’anno 1776 si è detto: Respectu praetensorum tam pro parte Universitatis Terrae Farinulae, quam pro parte Civitatis Pinnarum moneantur Partes ad audiendam provisionem faciendam per Regiam Cameram [22].

 Del qual Decreto non solo ne spera l’Università  di Farinola la conferma; ma che abbia eziandio ad ordinarsi di esserle lecito di edificare nel proprio suolo, e sulle acque, che nascono e corrono nel proprio Territorio, quei Molini, che meglio a lei, ed a’ suoi Naturali parerà, e piacerà, senza potern’essere da chicchessia impediti [23].

In dimostrazione dell’assunto colla scorta degli Atti, e delle leggi farò vedere apertamente: I. Che il Molino della Città di Penne sito nel Territorio di Farinola sia Corpo burgensatico e allodiale, e come tale soggetto al pagamento della bonatenenza. II. Che se non fosse, siccom’è, allodiale, non compete a detta Città jus di proibire a’ Naturali di Farinola di poter macinare in altri Molini, e di costruirne degli altri.

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CAP. I

In cui si dimostra, che il Molino della Città di Penne sito nel Territorio dell’Università di Farinola sia Corpo allodiale e burgensatico, e come tale soggetto al pagamento della bonatenenza.

 

La Città di Penne, guardando il pessimo stato di sua causa dopo l’interposizione del Decreto della Regia Camera, con cui fu ordinato, quod se abstineat a praetenso jure prohibendi, che non fece, che non disse, che non oprò, per ottenere la rivocazione! Lo sa bel ella, che millantò di averle si fatta mossa dell’Università di Farinola costato il dispendio di duc. 3000. E conoscendo, che niente le giovava il Privilegio di Concessione del Re Ferdinando, in cui affatto menzion non si facea del Molino, esibì l’istrumento di compera, che a dì 12 Aprile 1418 disse avere fatta da D. Giovannella de Burgo del Feudo di Farinola, con assenso della Regina Giovanna II [24]. E non giovandole né anche tale scrittura, come quella, che non dimostrava né generale, né particolare acquisto del Molino, onde la qualità feudale del medesimo dimostrata si fusse, proccurò, sebbene in vano, giustificarlo con dire, che le acque, colle quali il Molino macinava, eran feudali.

All’incontro per parte dell’Università di Farinola con valevolissime prove dimostrossi il contrario. Ed ecco come.

Essendosi sulle istanze di Farinola commesso al Regio Percettor Provinciale d’informarsi della qualità dell’acqua del Molino di Penne, e riferire alla Regia Camera[25]; riferì costui da Penne in data dè 21 Ottobre 1729 “Di avere appurato con deposizioni giurate di più Testimoni delle Terre di Montebello, e di Colèra, che confinano con quella di Farinola; li quali avean concordemente deposto: Che venga macinato il Molino di Penne dal fiume denominato Tavo; il quale nasce in Territorio dell’Università di Farinola; e continuando fa macinare il divisato Molivo posseduto da detta Città; da dove proseguendo porta un tal beneficio non meno alli Molini siti in Territorio di Penne, che a quelli delle Terre di Loreto, Collecorvino, Spoltore, ed altri fino al mare” [26].

La Regia Udienza Provinciale di Teramo in esecuzione di Dispaccio riferì in data dè 24 Novembre dello stesso anno 1729 al Vicerè di quel tempo “Che i Naturali di Farinola da tempo immemorabile erano stati sempremai soliti andare a macinare il grano, ed altri commestibili o nel Molino della Città di Penne, o in altri; in guisa che dipendea dal loro arbitrio e volontà servirsi o dell’uno, o degli altri, senza essere stato loro giammai vietato. Tanto vero che da circa 30 anni ritrovavasi nel distretto dell’Università di Farinola un altro Molino, che da detto tempo in poi era rimasto diruto, e immacinabile, e possedeasi dal fu Andrea Romerio della Città di Penne; e che la maggior parte dè Naturali di Farinola con tutta libertà andavan di continuo a macinare in quello il grano senza proibizione veruna; e dopo la distruzione del medesimo erano andati al Molino di Penne, ed alcuni anche in altri Molini a lor piacimento per mero lor comodo, perché era più vicino alla Terra di Farinola, come a dire un quarto di miglio. La proibizione cominciò nel 1724, tempo in cui l’Università di Farinola mosse lite alla Città per altre cause; tra le quali per alcuni danni, che i Cittadini di Penne inferivano nel bosco, e montagna di Farinola; motivo per cui detta Città fè pubblicar Bando, col quale si proibiva a’ Naturali di Farinola di poter macinare in altri Molini; che tosto fu rivocato con ordine di essa Regia Udienza; da cui fu emanato altro Bando pubblicato in Penne, di esser lecito a’ Farinolesi di poter macinare il loro grano in quei Molini, che fosse stato loro più a grado...”.

Riferì ancora “ Essersi verificato, che l’acqua nasce nel Territorio demaniale della Terra di Farinola, e propriamente nel luogo chiamato la Montagna di Farinola; scorrendo abbondantemente da un fonte detto Angre; diramandosi in un rivo scende in giù per l’anzidetta Montagna fino alla distanza circa un mezzo miglio, là dove unirsi con altr’acqua, che sorge, e scaturisce nel luogo nomato Pertuso, o sia Vallecantarella; di modo che forma un fiume denominato Tavo; il quale passa per lungo tratto sopra i Terreni di Farinola, dentro dè quali essa Università volea costruire un nuovo Molino (siccome lo costrusse, che poi fu il bersaglio dello sdegno dè Pennesi, li quali armata manu ne fecero scempio) e successivamente decorrendo rendea macinante il Molino di Penne, e diversi altri siti nel Territorio di Farinola [27].

Sul ricorso della Città di Penne, cui dispiacquero gli ordini emanati dalla Regia Udienza [28] con decreto del Presidente Ruoti del dì 27 Gennajo 1730 si provide: Citra praejudicium jurium ambarum partium et c. constito de solito circa jus moliendi tantum, Regia Audientia Provincialis illud observare faciat [29]. L’esecuzione de’ quali ordini con altro Decreto del Presidente Odoardi del dì 14 Agosto fu commessa al Regio Uditore D. Antonio Tardioli [30]. Il quale, in tal dipendenza procedendo ancora in obbedienza di Dispaccio del Viceré, avendo presa l’informazione del solito,fè Decreto sulla faccia del luogo in data dè 17 Ottobre dello stesso anno 1730: Visis Provisionibus Regiae Camerae Summariae expeditis sub die 14 elapsi mensis Augusti currentis anni 1730; Informatione capta pro observantia earundem, ex qua conflat Cives et homines Terrae Farinulae solitos fuisse molere frumentum, et alia victulia in Molendinis ad eorum libitum; iidem Cives utantur eorum jure in molendo frumentum, et placitis; nec turbentur a solito praedicto sub paena ducatorum mille Fisco Regio, servata forma dictarum Provisionum; et expediatur ordo in forma. E speditine gli ordini a’ dì 3 Novembre, ne furono personalmente notificati li magn. Del Governo della Città di Penne nel dì 10 dello stesso mese [31].

E quantunque dalla Città di Penne proccurato si fosse in appresso di articolare, e provare così la qualità feudale del Molino col jus di proibire a’ Naturali di Farinola di andare ad altri Molini, che di costruirne altri per uso proprio, come dall’esame preso dal Caporuota della stessa Udienza di Teramo D. Achille Forlofia [32]; e in seguela a’ 20 Decembre 1731 avesse ottenuto decreto profferito domi dal Presidente Santoro: Quod Civitas Pinnarum manuteneatur in possessione, vel quasi juris prohibendi Molendini, quod possidet in Tenimento Terrae Farinulae juxta informationem, donec aliter et c. [33], rimase non per tanto di nessun vigore; poiché ne fu portata dall’Università di Farinola istanza di contrario imperio [34], ed indi supplica di referat in Regia Camera ad finem revocandi [35]; per esser nullo l’esame, e nullo il decreto; non solo perché tal decreto non poteasi interporre domi, e con esso distruggersi il Decreto interposto per Regiam Cameram a’ 28 Giugno 1729, col quale si era ordinato: Quod Civitas Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi [36], che giammai da esso Tribunale non si era rivocato; ma anche perché detto esame, sul quale il precitato decreto fu appoggiato, irregolarmente fu interposto in tempo, che la Regia Camera non poteva ad atto alcuno procedere per la questione, che pendea nel Consiglio Collaterale, se in tal causa avesse avuto a procedere il S. G., o il Tribunal della Camera.

Per intelligenza de’ fatti fa duopo sapersi: Che il Caporuota Forlofia, per li maneggi praticati dalla Citta di Penne, a Gennaio del 1730 portatosi in Farinola con mano armata, senza alcuna cognizion di causa distrusse una fabbrica da quella Università fatta nel proprio suolo, col pretesto di dover quella servire ad uso di Molino. Avendone perciò fatti l’Università de’ ricorsi in Regia Camera [37], dal Presidente Ruoti con Provisioni spedite in data de’ 4 Febbrajo del detto anno si ordinò al Forlofia di dover riferire sull’esposto, con render conto con quale autorità, e a che fine, e per qual motivo avea fatta cotal fabbrica demolire; con liquidarsi similmente a quanto era asceso il danno da tal demolizione cagionato; per prendersi dalla Regia Camera quegli espedienti, che si sarebbero stimati necessarj, ed opportuni [38]. Ma la prepotenza di Penne fe’ rimanere ineseguiti gli accennati providissimi ordini. E quindi fu, che il Forlofia rimase in dispetto, e nemico di Farinola.

Pe’l  desiderio di veder l’Università di Farinola terminata una volta una controversia, che da tre anni pendea nel Tribunal della Camera, dove per la molteplicità delle Cause fiscali non ne avrebbe potuto che di la a molti anni vedere il fine, pensò ricorrere nella Giunta del buon Governo delle Università del Regno, e deducendo tutte le gravezze, che se le inferivano dalla Città di Penne, chiese in essa differirsi. Ed essendovisi formati più atti, si provide: Respectu  Capitis prohibendi Molendini Civitatis Pinnarum Partes adeant Judicem competentem [39].

In vista di tal Decreto ricorse Farinola nel Collateral Consiglio, e domandò ordinarsi di dovere nella divisata causa procedere il S. G., che credè il Giudice competente; poiché trattatasi di causa tra parti, dove nessuno interesse vi aveva il Fisco [40]. Ed essendosi provisto nel dì 24 Gennajo 1731: Intimetur Fisco Regalis Patrimonii, et Parti [41], ne fu notificato il Mag. Proccurator di Penne [42] il quale instando doversi continuare a procedere in Regia Camera per l’articolo della pretesa feudalità, ed avendosi con sua istanza inerito il Fisco [43], nel dì 4 Maggio provide: Super articolo feudalitatis Regia Camera Summariae continuet in procedendo [44].

Non poteasi dal Tribunal della Camera pendente la decisione da farsi sulla question del Tribunal procedere ad atto alcuno dal dì 24 Gennajo al dì 4 Maggio 1731. E pur si vide il contrario; Imperocché chiestasi dalla Città di Penne providenza su di un lungo ricorso [45], dal Presidente Santoro con decretazione del 26 Gennajo si disse: Veniat Actuarius certioratis partibus ctastina die Sabathi [46]. E notificatosi al Mag. Proccurator di Farinola l’appuntamento nel dì 27, senzachè segli fosse lasciata copia del libello, com’era di dovere, per poter esser quegli inteso di qual cosa aveva a trattarsi nel contraddittorio; e non ostantechè avesse il medesimo replicato non potervi per quello stesso giorno intervenire, per essere incaricato di altri affari precedentemente appuntati, e si fosse offerto pronto per lo giorno susseguente del lunedì 19 [47], dal presato Ministro però si volle nello stesso dì dè 27, senza sentire l’Università di Farinola  nelle sue ragioni, dar la providenza. E con un decreto domi prescrisse tanto quanto avrebbe potuto il Tribunal della Camera definir con una sentenza.

Con uno spirito proprio di un Reggente di Collaterale [ qual prevedea forse dover essere in appresso] distrusse quanto si era fatto da due Regj Ministri in esecuzione degli ordini della Regia Camera, e del Viceré; poiché disse: Suspensis omnibus actis informationum captarum tam per Mag. Regium Capus Aulae  Regiae Audientiae Tharami, quam per Mag. Regium Auditorem Tardioli; Regia Audientia Provincialis capiat interum  informationem de solito respectu juris moliendi in actis dedecti ser. ser. et partibus auditis, et faciat observare solitum praedictum servata forma decreti interpositi per Dom. Praesidentem Ruoti, et Provisionum vigore eiusdem expeditarum, donec aliter per Regiam Cameram, sive per infrascriptum Dom. Causae Commissarium fuerit provisum vigore dictae informationis  capiendae modo quo supra. Et pendente dicta informatione, citra praejudicium jurium partium, et per modum provisionis, servetur, quod servabatur  tempore  litis  motae  sub die 10  mensis  Junii 1728.  Et eadem  Regia Audientia sic exequi faciat [48].

E quantunque in quello stesso giorno dè 27 dal Mag. Proccurator in Farinola  [che scorto l’impegno del Ministro sopragiunse in tempo, che fu profferito il decreto] si fosse presentata istanza di gravame, colla quale si domandava quello contrario imperio rivocarsi [49]; pur non ostante con conculcazione di atti, e con manifesta affettazione, senza essersi voluto farlo notificare, soggiunse il nominato Presidente di sua mano sotto il decreto: Et expediantur Provisiones [50]; siccome furono immediatamente spedite [51].

Questo irregolarissimo decreto fu la base di tutti gli altri decreti, che in prosieguo s’interposero. Né valse a impedirne l’esecuzione la ragione, la giustizia, perché la povera Università di Farinola Rimase sempre conculcata , ed oppressa dalla prepotenza di Penne. Imperciocchè avendo l’Università di Farinola presentato nella Regia Udienza di Teramo documento  della pendenza della question di Tribunale, che dovea dal Collaterale decidersi [52], insieme con memoriale, col quale, prevenendola della pendenza suddetta, chiedea sospendersi l’esecuzione di ogni ordine della Regia Camera, protestandosi in caso diverso di nullità di ogni atto [53], il Regio Uditor Tardioli, in  sentirne il tenore, non volle intervenire per sua onestà a votarvi, stante l’informazione da lui presa; siccome nel    27  Febbrajo 1731 ne fu formato atto da quel Mastrodatti [54];  e dal solo Caporuota Forlofia si disse: Intimetur parti adversae [55] protestandosene di nullità Farinola [56].

Nello stesso giorno dè 27 fu data dalla Regia Udienza osservanza alle precitate Provisioni della Regia Camera, e fu commessa l’informazione al Caporuota Forlofia con decreto dalla stesso sottoscritto; soggiungendosi quello, che nelle Provisioni della Regia Camera non si era ordinato, cioè: Et quod Mag. Universitas Civitatis Pinnarum manuteneatur in quasi possessione juris prohibendi in controverso Molendino [57]. Ma per gli atti violenti precedentemente commessi avendolo l’Università di Farinola sospeso, con istanza formale per tale l’allegò nel dì 15 Marzo [58]. Ed avendovi il medesimo decretato: Lecta retroscripta comparizione conservetur inttactis[59], ricominciò l’esame dè testimoni prodotti da Penne [60]. Gli ripetè perciò nell’istesso giorno la sospenzione per atto pubblico [61]; ed avendosene egli ricevuta la copia autentica,  e datala al  Mastrodatti  per  conservarsi  negli  atti [62] continuò  nel  seguente giorno dè 16 l’esame [63].

Trasmessasi però tale informazione presa con atti tanto conculcati, in vista della medesima dal predominato Presidente Santoro su di altro ricorso presentato da Penne, senza né anche sentirsi l’Università di Farinola, nel giorno 20 Decembre 1731 si profferì il sopraccitato decreto, col quale, ergendo Tribunale in sua casa, distrusse rotondamente quanto si era per Regiam Cameram col Decreto dè 28 Giugno 1729 [64] ordinato; poiché laddove si era provisto allora: Bene provisum per Dom. Causae Commissarium sub die primo Aprilis currentis anni fol. 24. la qual providenza era: Universitas Civitatis Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi [65]; non ostante che le ragioni di Farinola  fossero in aspetto assai più favorevole, si disse per l’opposto: Moneantur partes ad audiendam provisionem faciendam per Regiam Cameram super praetensis pro parte Universitatis Terrae Farinulae; Et interim Universitas Civitatis Pinnarum manuteneatur in possessione, seu quasi juris prohibendi Molendini, quod possidet in tenimento Terrae praedictae Farinulae juxta informationem captam vigore Provisionum expeditarum per Regiam Cameram sub die 27 Januarii cadentis anni 1731, donec aliter per dictam Regiam Cameram, sive Dom. Praesidentem Commissarium fuerit provisum [66], siccome sopra si è accennato.

Dimostratosi pertanto di nessun vigore l’esame fatto dalla Città di Penne, e conseguentemente nullo il decreto, che su di esso fu profferito; conviene per l’opposito esporre quanto fu provato dall’Università di Farinola colle deposizioni giurate di sette Testimoni maggiori di ogni eccezione ricevuti in Aula Regiae Audientiae [67]in virtù di Provisioni della Regia Camera, sottoscritte dal Presidente Ram  nel dì 13 Marzo 1732 [68], cioè: Che il Molino di Penne era allodiale, e senza jus di proibire; di sortachè tanto l’Università di Farinola, che li suoi Naturali da tempo immemorabile erano stati sempre soliti andare a macinare il loro grano, ed altri commestibili in quel Molino, che era stato loro più comodo tanto nelle pertinenze della sua Terra di Farinola, quanto nei luoghi con vicini a loro elezione, e piacimento, senza mai esserne stati impediti, o contraddetti da persona alcuna.

Resta ora da rispondere alla scrittura presentata dalla Città di Penne dopo l’interposizione del Decreto della Regia Camera, col quale fu ordinato: Quod Civitas Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi, la quale credesi dalla medesima Città esser l’Achille dè suoi argomenti. La scrittura prodotta contiene: Che a 12 Aprile 1418 D. Giacomo d’Aquino Conte di Loreto, D. Francesco suo figlio, e D. Giovannella de Burgo moglie di D. Francesco asserirono possedere come beni dotali di essa D. Giovannella immediatè, et in capite a Regia Curia sub certo feudali servitio, seu adoba il Castello di Farinola, e Rocchetta cum Fortellitiis, dominibus, vassallis, vassallorum redditibus, et pertinentiis universis, terris cultis, et incultis, pratis, silvis, nemoribus, planis, montibus, molendinis, acquis, acquarumque decursibus, juribus, jurisdictionibus, tenimentis, territoriis, et pertinentiis suis omnibus, quae ad dictum Castrum Farinulae cum Rocchetta spectare noscuntur. Asserirono posseder similmente altre porzioni di Castelli disabitati, ed altri beni burgensatici; E quelli venderono alla Città di Penne, e per essa a Notar Antonio Maffio di lei Sindaco, e Proccuratore, cum muris, turribus, fortellitiis, domibus, possessionibus, vassallis, vassallorum redditibus, et pertinentiis, angariis, et perangariis universis, et omnibus, quae sunt de natura feudi, et cum juribus patronatus Ecclesiarum, per lo prezzo di ducati 3572 [69]. E nel dì 1 Maggio 1418 dalla Regina Giovanna II vi si concedè l’assenso coll’espressa condizione, cioè: Veris existentibus praenarratis, natura feudi in aliquo numquam mutata[70].

Tosto che la Città di Penne ebbe le divisate scritture, ricuperò il perduto vigore, tanto che prima palesò non voler proseguire detta causa, e ricercava comporla, e poi, ricusata la pace pria proposta, volle la guerra, pretendendo ricavare da quelle, che abbia il jus prohibendi, e che sia feudale il Molino.

Quanto vada errato chi presume, che da tali scritture possa e dominio, e qualità feudale del Molino, e dritto di proibire ritrarne, chi nol vede. Il cennato istrumento non è Real Concessione, ma un contratto di compera, e vendita tra privati, i quali non potean render feudale quel corpo, che dalla sua origine tale non era; nam solus Rex habet facultatem alterandi qualitates rerum ex burgensaticis in feudum, et non alius, siccome scrisse il Reggente Rovit. Cons.67.

L’assenso fu interposto su tale vendita, sì perche eran beni feudali, sì perche eran beni dotali, senza il quale de jure nullo, e invalido sarebbe stato il contratto; ma non operò, né operar potea, che i beni burgensatici per virtù di esso divenuti fossero feudali, siccome la Città di Penne suppone. Oltreche l’assenso fu condizionato per le parole, che in esso osservansi: Veris existentibus praenarratis, et natura rerum in aliquo nunquam mutata. Ma dovrebbe costare, che vero fusse tal contratto , e vero l’assenso (poiché se ne veggono negli  atti presentare le copie esemplare dagli originali, che si disse esser nell’Archivio di Penne[71]); e che tale assenso sia stato tra il determinato biennio registrato.

Che sia feudale, perche macina colle acque supposte feudali, fa orrore sentirlo! poichè se ciò vero fosse, tutti i Molini siti ne’ luoghi baronali sarebbero feudali; E feudali sarebbero gli altri Molini, che la Città possiede nel suo tenimento, giacchè  anch’ella è vassalla della Serenissima Real Casa Farnese; e pure non sono feudali. L’argomento dunque più forte della Città è quello di essersi venduta la Terra di Farinola  cum pertinentiis, terris, molendinis et c.

E chi non sa, che simili seguenze si appongono in questi contratti de stilo Notariorum, anche nelle vendite de’ Feudi disabitati, pure siti nella Puglia, ove non vi è acqua neppur per bere; e nientedimeno si dice cum aquis, molendinis, et c., potrebbero addursene mille esempj, che per brevità si tralasciano.

Tanto è vero, che in detto contratto passato col Conte di Loreto, D. Giovannella de Burgo, e la Città siano apposte de stilo; poiché si dice cum terris cultis, et incultis; e la Città non vi possiede né terreni culti , né inculti; cum montaneis; e la montagna è di Farinola, siccome la stessa Farinola è Baronessa immediantè dè Feudi in capite a Regia Curia di Trotta, Cupoli, Peschio Albuino, e altri siti nel suo tenimento, dè quali ne paga l’adoa, e quindemj; cum juribus potronatus Ecclesiarum; e non vi sono juspatronati; cum jurisdictionibus ; e le giurisdizioni non possedeansi da’ venditori, ma furono concedute nel 1475 alla Città dal Re Ferdinando II; cum angariis, et perangariis; e queste neppure furon concedute.

Avrebbe la Città dovuto produrre l’investitura, ch’ebbe  D. Giovannella, o colui, dal quale ella ebbe causa, per osservarsi, se di detti corpi, jussi, e giurisdizioni n’ebbero mai Concessione; poiché le Regalie non veniunt in concessione feudi, nisi fuerint specialiter expressae, allo scrivere di Peregrino de jure Fisci lib.I cap.I; come sono, tributi gabelle, servizj, fiumi, vie, batter monete, beni vacanti, angarie, metalli, tesori, saline, pescagioni. E se mai apparisse la Concessione di tali Regalie, potrebbe anche dirsi con Cravett. Cons. 54 , e Cancer. Par. 3 cap. 4 num. 62, che : Concessio Castri cum montibus, pratis, pascuis, aquis et.c. talem specificationem jurium provare contra concedentem, ejusque successores, sed non cntra tertium, qui esset in possessione valium jurium; siccome nel caso nostro, che la Terra di Farinola sta in possesso della Valchiera, e dell’uso dell’acqua prima della Giovannella de Burgo.  Su di che meglio se ne discorrerà, qualora si presenterà la Concessione, che finora non si vede. Frattanto dalla prodotta scrittura non si ha, che detto Molino sia feudale, tutto che si dica nell’istrumento cum molendinis.

Si entrerebbe però in qualche dubbio, se nell’istrumento si fosse detto sub verbo speciali: Cum Molendino sito in dicto tenimento Terrae Farinulae. E in questo caso né anche si sarebbe fuori di speranza; poiché potrebbe anch’essere burgensatico, come quello, che poteva essere stato edificato da detta D. Giovannella. Onde qualora non si ritrovasse nella Concessione, ch’ebbe la medesima D. Giovannella, poco importerebbe, che dalle parti si fosse asserito per feudale, anche sub verbo signanter.

Aggiungesi di più, che il detto istrumento fa menzione di molti corpi di minor condizione, rendita, e valore; e de Molino, ch’è un corpo di considerazione, e di rendita in annui tumoli 380 di grano, non si fa parola. Dunque non vi era il Molino in quel tempo, altrimenti si sarebbe descritto in quel contratto; se vi era, possedeasi da altri, siccome è verisimile, che si possedesse dalla Università di Farinola per la tradizione, che se ne ha. Ed è ciò tanto credibile, che oggi giorno il Camerlengo di Farinola è franco di Molitura[72]; ma il tempo vorace non ha permesso  quelle notizie, che bisognano; non perciò vi è molto da riflettere.

La presunzione, che il Molino sia burgensatico, e non feudale, è a favor di Farinola, ogni qualvolta non vien descritto nell’investitura: In dubio quaelibet res praesumitur allodialis, et non feudalis, è massima comune presso de’ nostri DD. Riferiti da Menochio lib. 3 presunt. 91 per totam. Dee presumersi burgensatico, perché non sta edificato in qualche territorio feudale della Città, ma in una via pubblica, e l’acqua passa per territorj di Particolari, e di Chiese, che a suppliche della Città han permesso il passaggio dell’acqua; onde il Reg. Sanfelice sul proposito così scrisse nella decis. 189 num. II: Cessat difficultas, ex eo quia praedia con vicina, et confinantia cum bis, de quibus est controversia, sunt burgensatica; così Rovito in rub. De feudis num.3, che cita Isernia in cap. I num. 3 in addit. Di più si dice, che siccome D. Giovannella possedeva altri beni burgensatici, così può presumersi, che possedesse il Molino in burgensaticum, qualora creder si dovrebbe, che la parola cum molendinis abbia compreso il Molino, di cui si parla; e in questi termini forisse Surdo nel cons. 151 num. 34 et cons.311 num.12.

La presunzione contraria, cioè, che il Molino fosse posseduto da D. Giovannella ab initio acquisitionis feudi, allora militerebbe, qualora fosse descritto nella Concessione; perché se mai fosse stato posseduto da D. Giovannella, e poi venduto, ciò non basta per farlo presumer feudale; così argomentò lo stesso Surdo nell’anzidetto  cons. 151 num.58 cum seq.

Non giova, che il Molino sia nel tenimento di Farinola, e che perciò sia feudale, o possa presumersi tale; perché la massima corre respectu jurisdictionis non autem dominii terrarum, Duran. decis. 28, Natta cons. 213; e la ragione si è, che burgensatica possunt annecti feudo, qualitate tamen non mutata, etiam sine assensu Domini, Rovit. Cons. 67 n. 7; e soggiunge nel num. II: non ex constructione facta per habentem juriditctionem, qia Castrum, sive Palatium, est aedificatum a Barone intra fines feudi, essicitur feudale, nisi aedificetur in solo feudali; e così scrisse Sanfelice in alleg. decis.

Non abbiam negli Stati antichi della Città, che abbia posseduto detto Molino, e particolarmente in quello, che tanto accuratamente fu fatto nell’anno 1628 dal Regg. Tappia. Anzi in quel tempo rivelò la Città possedere altri corpi, ma del Molino non fece menzione [73]. Dunque non fu posseduto da D. Giovannella, né da quella fu venduto, perché non possedeasi dalla Città nel 1628 , e di tutto si disse nel divisato istrumento cum molendinis. Quindi è, che in niun conto può presumersi feudale.

Non sta registrato nel Cedolario dè Baroni, siccome non tassato pro jure adoba, ma solamente in esso si deferivano le giurisdizioni, ed altri corpi feudali. Non può dunque riputarsi feudale, siccome scrisse il Reg. Rovito cons. 67 num 5. e’l Reg. Sanfelice decis. 189 num. 14.

Non si è pagato giammai Quindemio alcuno; onde non può presumersi feudale[74].

E tanto è vero, che l’anzidetto Molino non sia feudale, ma burgensatico, che avendo la Città di Penne contratto negli anni 1587, e 1588 debito istrumentario col fu D. Gio: Battista Fibbioni della Città dell’Aquila, per speciale ipoteca obbligò il cennato Molino; e nell’istrumento espressamente si confessò dalla Città di Penne, che il Molino era burgensatico; e tale  esser doveva, altrimenti non poteva obbligarsi senza Reale assenso; ed essendosi poscia dedotto il Patrimonio dè Fibbioni nnel S.R.G. tal credito, o sia l’annualità dovuta da Penne, fu assegnata al Collegio dè  RR. PP. Bernabiti dell’Aquila. Ed ecco il fatto:

Era in debbito la Città di Penne a diverse persone di ducati 9500, per cui ne corrispondea l’interesse all’8, al 9, e al 10 per 100. Pensò rinvenire simil somma di denaro a minore interesse, e, restituendo i capitali rispettivamente dovuti, ricomprarsi le annualità, per le quali si era a ragione tanto alterata obbligata. Rinvenne D. Gio: Battista Fibbioni, che promise darle i ducati 9500. Congregatosi perciò pubblico Parlamento in essa Città nel dì 24 Maggio 1587, si conchiuse doversene fare il contratto [75].

Ne chiese l’Università l’assenso al Viceré, e l’ottenne nel dì primo Settembre del detto anno [76]; e per mezzo di D. Ottavio Blasiotti Proccuratore a tal uopo costituito [77] ne passò l’Istrumento col Fibbioni nel dì 22 Ottobre colla promessa di farsene dall’Università la ratifica [78]. Promise, e si obbligò per detta somma di ducati 9500 pagare, e corrispondere ducati 712.50 l’anno sopra qualsivoglia rendita dell’Università, et signanter super annuo affictu, et arredamento gabellae magnae et antiquissime vulgariter nuncupate del Quartuccio, necton super annuis intritibus, et redditibus ejusdem Mag. Universitatis, MOLENDINI SITI IN TERRITORIO CASTRI SUI FARINULAE, super redditibus Terragii, et introitibus Feudi ejusdem dicti Rocca fili Adam, et super aliis quibuscumque bonis ejusdem Universitatis [79]. E in prosieguo, ripetendo l’istesso obbligo, disse: Super praedictis bonis, et gabellis, una nuncupata lo Quartuccio, et aliis bonis descriptis in dicto Mandato Procurationis, necton super aliis bonis, et rebus quibuscumque dictae Magificae Universitatis et c., FRANCOS, BURGENSATICOS et c. ab omni onere, redditu, angaria et c. [80].

Il quale obbligo l’Università di Penne con altro Istrumento del dì 5 Novembre dello stesso anno 1587 ratificò in ogni sua parte [81]. E i Deputati a intervenire nella stipula per parte della medesima così dichiararono: Declaraverunt, qualiter dum ipsa Mag. Universitas, et homines ipsius, tanquam vera domina, et patrona, et tanquam veri domini et patroni habere, tenere, et possedere juste, realiter, pacifice, et quiete, pleno jure, justo titulo tanquam rem propriam dictae Mag. Universitatis, et ad tandem legittime, et pleno jure spectantem, et pertinenttem IN BURGENSATICUM, ET BURGENSATICORUM BONARUM NATURA, AC IN FRANCUM, ET LIBERUM ALLODIUM, nonnulam pecuniarum summam super primis introitibuus, dirictibus, juribus, et recolligentiis annui arrendamenti gabellae magnae, et antiquissime vulgariter nuncupate la Gabella del Quartuccio, et super annuis introitibus, et redditibus MOLENDINI ejusdem  magn. Universitatis siti in Territorio Castri sui Farinulae , super redditibus, terragiis, introitibus Feudi nuncupati  Rocca fili Adam, et super aliis quibuscumque bonis ejusdem Mag. Universitatis [82].

Dalle rendite del suddetto Molino sono stati sempre pagati gli eredi del Fabbioni, colla spiega di esser quello sito nella Terra di Farinola.[83].

Né altrimenti si descrive nello stato discusso di detta Città di Penne; imperocché si denotano in esso i pesi, che porta l’Università; li quali sono: Alla Regia Corte per debito ordinario e straordinario, inclusovi il censo d’Anelli, annui ducati 2107. 72 1/3. Alla Serenissima Real Camera per Fiscali, Portolania, e Bagliva annui duc. 1360. E nella rubrica de’ creditori strumentarj vien notata la partita Al Sign. Fibboni  dell’Aquila annui duc. 50 [84].

Se il molino fosse stato feudale, avrebbe avuto a pagarne alla Serenissima Real Camera la tangente, e sarrebbe stato descritto nello Stato egualmente, che lo furono li Fiscali, la Portolania, la Bagliva.

Per le acque copiose che caddero a Marzo del 1772, restò danneggiato il Capoformale del divisato Molino; ed avendo voluto il Conduttore di quello farvi le accomodazioni necessarie, onde avesse potuto immettersi l’acqua nella forma, ad istanza del Camerlengo di Farinola  con Decreto di quella Corte ne fu impedito. Ricorsero perciò gli Amministratori di Penne in detta Corte, ed, enunciando tutto ciò, dissero che il Capoformale stava costruito né terreni del Beneficio di S. Maria, al di cui Beneficiato pagavan essi annualmente certa quantità di grano; e chiesero rivocarsi l’indicato ordine [85].

Se il molino fosse feudale, siccome han preteso sostenere gli Amministratori di Penne, come ritrovarsi quello in terreno beneficiale, e corrispondersene al Beneficiato l’estaglio?

E se la Città di Penne possedesse tal Molino come feudale, e col jus proibitivo, non potrebbe né anche l’Università di Farinola posseder la Valchiera, che indipendentemente possiede, e ne ritrae dall’affitto l’estaglio, come si ha dallo Stato discusso dalla Regia Camera nel 1742 [86]; giacchè la stessa ragione dovrebbe concorrere e per lo Molino, e per la Valchiera.

Esclude ogni presunzione di feudalità la confessione fatta dalla stessa Città di Penne, quando, fattasi nel 1713 risulta fiscale in Regia Camera, per non aver pagati quindemj de’ Corpi feudali, si transigè nel 1719 col Regio Fisco per le sole giurisdizioni civile, criminale, e mista, pagando ducati 50 alla Regia Corte, cui disse pagargli per le sole giurisdizioni suddette [87].

E per ultimo vaglia per mille prove ad escludere la pretesa feudalità la dichiarazione fatta da essa Città nel 1745 di essere il suddetto Molino burgensatico. Imperocché sendosi proceduto nell’Università di Farinola  alla formazion del Catasto, la Città di Penne rivelò possedere in quel Territorio di Farinola un Molino ad acqua da macinar grano, dato in affitto a Donato Cotellucci per salme 120 di grano, valutate per duc. 240, da’ quali dedotti duc. 10 per le necessarie accomodazioni della mola, e del suo letto, restavano in dilei beneficio annui ducati 230 [88].

Dall’anno 1745 sino al 1748 pagò per tre anni la Città suddetta la tassa per la bonatenenza del Molino all’Università di Farinola, ed avendo mancato pagarla nel 1749, a ricorso di detta Università fu ordinato dalla Regia Camera con Provisioni del dì 17 Giugno: Esser lecito all’’Università di Farinola servirsi di sua ragione in esigere la bonatenenza dalla Città di Penne, servata la forma del Catasto per lo Molino sito nel suo tenimento [89]. E in virtù di tali ordini ha sempre fino al 1774 pagata la Città di Penne la divisata bonatenenza [90]; quantunque avesse di tempo in tempo procurato dilatarne il pagamento sul pretesto di esser tal Molino feudale [91]; a cui si è sempre ragionevolmente opposta Farinola [92]; senza essersi dal Tribunal della Camera data mai providenza in contrario.

Sicchè raccogliendo quanto sin qui si è detto, conchiudo: Che il menzionato Molino fuor d’ogni dubbio è burgensatico; poiché alla Città di Penne altro non fu conceduto, che il mero, e misto imperio, e la giurisdizione civile, e criminale; e per queste sole giurisdizioni si sono da detta Città pagati alla Regia Corte i quindemj dall’anno 1500 in avanti; Né per tale Molino sene vede espressa Concessione a suo benefizio, né tassa in Cedolario, né pagato alcun quindemio; Circostanze tutte, che senza di esse non può riputarsi feudale. Anzi all’opposto si vede, che per burgensatico l’abbia descritto, ed obbligato detta Città; e come tale l’abbia rivelato nella formazion del Catasto di Farinola, e ne abbia sempre pagata la bonatenenza. E quindi verificato si vede nella presente Causa tutto ciò, che nel Cap.III par.2 delle citate Reali Istruzioni de’ Catasti sta ordinato.  

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CAP. II

In  cui si dimostra, che se non fosse, siccom’è, allodiale il Molino, non compete alla Città di Penne jus di proibire a’ Naturali di Farinola di poter macinare in altri Molini, e di costruirne altri.  

Se vero è, siccome ho dimostrato esser verissimo, che il mentovato Molino non sia feudale, cessa ogni disputa riguardo al preteso dritto di proibire; poiché qualora il Molino non è feudale, affatto non può considerarvisi annessa la prerogativa della ragion di proibire, così rispetto al divieto di potersene edificar altri, che di poter restringer la libertà di macinare il grano in altri Molini. Ad ogni modo sia permesso far breve parola di tal pretesa ragione di proibire, giacchè questa ha dato causa alla gran lite tra la Città di Penne, e Farinola, che verte fin dall’anno 1728, per cui con grandi dispendj si sono formati non meno che cinque voluminosi Processi.

A poter la Città di Penne, utile signora delle sole giurisdizioni civile, e criminale della Terra di Farinola, pretendere di avere il jus prohibendi di macinare i Naturali di Farinola in altri Molini, o di edificarne altri per loro comodo, dovrebbe mostrare, o esserle stato conceduto con particolare Privilegio, o averlo acquistato per mezzo di una legittima prescrizione, o consuetudine. Afflict. Dec. 338, Capyc. Latr. Cons. 110, Rovist. In Prag. 14 de Baron., Capibl. De Baron. In dict Progm. 14 n. 17.

Vero è, che tra Dottori vi fu un grandissimo dibattimento, se colla concessione di un Castello fatta dal Principe al Barone in specie cum Furnis, Tapetis, et Molendinis, s’intendesse anche conceduto il jus prohibendi; la comune de’ Dottori però fu di negativa opinione; che per esser più vera la tennero Cravatta de antiq. Tempor. Part. 4 § cira praemissa n. I, Jacobin. in investit. feud § et cum Molendinis, Bursat. Lib. I cons. 41, Rolan. A Valle lib. 3 cons. 46, Travet. cons. 861 et 871 num. 5 et 9, et cons. 896 per totum. Ed esser questa la sentenza più comune scrisse Tesauro, riferendo i citati Autori nella decis. 16 n. 9 vers. contrarium; lo sondò anche Surdo cons. 127 num. 18, e Larrea alleg. 69 num. 23.

Questa dissenzione tra Dottori fu poscia nell’anno 1536 sopita, e determinata dall’Imperador Carlo V . Questo non mai bastantemente lodato Principe, volendo raffrenare la smoderata licenza de’ Baroni, emanò la Prammatica, ch’è la 14 de Baron., ove: Quae omnia sunt contra Subditorum nostrorum libertatem, in qua illos divina, et humana jura conservari mandant: Volumus igitur, atque mandamus omnibus Baronibus, et aliis utilibus  Dominis, ut libere permittant  Vassallos suos in ipsorum Vassallorum, aut aliorum furnis panem coquere, et similiter possint granum ad molundum, et alias terendas ad quorumlibet Molendina, vel Tapeta inducete: Exceptis illis, qui Furnos, Molendina et.c. cum hujusmodi jure prohibendi Vassallos particolari privilegio, aut legittima praesscriptione, vel consuetudine legittime praesccripta habent. Dunque affinché il Barone possa pretendere di avere il jus prohibendi, deve mostrare, o essergli stato conceduto con particolar Privilegio, o di averlo per mezzo di legittima prescrizione, o consuetudine acquistato.

Si vegga intanto qual particolar Privilegio, legittima prescrizione, o consuetudine abbia la Città di Penne per lo preteso jus prohibendi. Niuna Concessione né generale, né particolare non men del Molino, che di altri Corpi feudali ha la Città di Penne, ma solamente la giurisdizione civile, e criminale, a cui fu conceduto. E che sia così, costa ad evidenza dalla Concessione, che ella tenne, la quale giammai non volle esibire, tutto che dalla Regia Camera le fosse stato più volte ordinato, se non quando si vide in istato di destituzione.

Vedesi adunque, che nell’anno 1475 Ferdinando per gli ossequi a lui prestati, ed al Re Alfonso I di Aragona suo padre da’ Cittadini di Penne le giurisdizioni criminali concedè alla Città, e non altro: Merum, et mixtum imperium, et gladii potestatem, et criminalem jurisdictionem, Deum, et justitiam habendo prae oculis, per vo set vestros Officiales ubique fidelis, et providos per eos pro tempore statuendo in praedictis Terris, seu Castris Farinulae, et Montisbelli, ipsorumque pertinentiis, et districtibus, in ipsarum Terrarum, seu Castrorum hominibus, civibus, incolsi, et habitatoribus imposterum exercere. De quorum exercitio et c. [93].

Dal principio di detta concessione fino alla fine osservasi, che non di altro fassi menzione se non che di dette giurisdizioni, e quelle solamente concederonsi, senza che mai fatti si fosse menzione del Molino, o di altri corpi, né di jus prohibendi. Quindi è, che la Città di Penne non ha per se né Concessione del Molino, né Privilegio del jus prohibendi.

Se di nuovo si volge lo sguardo all’acquisto, che la Città di Penne nell’anno 1418 fece della Terra di Farinola dal Conte di Loreto, e D. Giovannella de Burgo , nel dì cui contratto leggonsi le più volte nemtovate parole cum molendinis, acquis et c., converrà dire lo stesso, che di sopra si è detto, che le devisate parole si appongono de stilo Notariorum anche alle vendite di feudi rustici disabitati, e di feudi siti in luoghi, in cui non vi è acqua neppure per bere; siccome anche de stilo Notariorum in tal contratto furono apposte le parole cum jurisdictionibus, qualora le giurisdizioni furono condedute dal Re Ferdinando alla Città del 1475, cioè 57 anni dopo, quanti ne decorsero dal 1418, che la Burgo vendè Farinola alla Città: cum juribus patronatus Ecclesiarum, e questi non vi furono, né vi sono: cum montaneis, et sylvis, e questi sono feudi, che Farinola, immediatè possiede in Capite a Regia Curia, e ne paga l’adoa, e quindemj. Resta dunque a vedersi, se ella abbia per se legittima prescrizione, o consuetudine.

Non vi è dubbio, che la Prammatica emanata dall’Imperator Carlo V intese quelle prescrizioni, o consuetudini, che sin a quel tempo eransi introdotte, e che di quelle solamente si fosse tenuta ragione. Tutto ciò fu considerato dal Reg. de Rosa in prax. decr. civil. cap. 10 num. 80, il quale cita Rodolf. Scradero in comment. ad l. unicam de condict. ex lege num. 124, et seq..; così il Reggente Marciano dispur. 10 num.91, e fu anche dichiarato con detta Prammatica nel § 28, ove: Ex nunc in antea nullas imponant, aut imponi faciant novas exactiones, vel gabellas, nec nova servitia, novasque angarias, aut nova onera induci faciant directè, vel indirectè. Dunque posto che la città di Penne non può mostrar particolar Privilegio, ha precisa necessità di far credere, che nel tempo di detta Prammatica, avea di già legittimamente acquistata la ragione di proibire o per legitima prescrizione, o per consuetudine. Ciò ella non ha mostrato, né può mostrarlo; dunque resta sfornita di quella ragione, che a suo favore nascer potrebbe dalla disposizione dell’Imperial Prammatica circa il preteso jus di proibire. Anzi  che nel § 35 più espressamente proibisce in avvenire l’introduzione di altri jussi; e giova qui trascriverne le parole: Declaramus etc. nostrae Regiae intentionis non fuisse, neque esse novas inducete angarias, aut perangarias, nec novas defensas, aut jus prohibendi aliorum Furnos, Tapetos, Molendina etc., sede t ea tantum sub tali clausula, et concessione comprehendi, quae tempore dictorum privilegiorum, et concessionum aut justo titulo, aut legittima praescriptione erant.

Convinta la Città di Penne delle già dette cose, ricorse all’intellettual possesso immemorabile di proibire. Io replico, che tal possesso immemorabile sia a favore dè Naturali di Farinola fin’all’ultimo stato delle cose; imperciocchè il Comune di Farinola  è stato sempre in possesso di poter andare a quei Molini, che più gli eran comodi, e di poterne edificare altri; e se quei Naturali sono andati a macinare nel Molino della Città, è ciò accaduto, perché loro era più comodo. Quindi è, che dagli atti di volontà non può cavarsene possesso, in modo che possano i Vassali esser costretti ulterius ire al Molino del Padrone, ancorché per immemorabil tempo andati vi fossero. E la ragione si è, che talis accesso cum sit merae facultatis, propterea non potest in ea cadere possessio, sine qua praescriptio non procedat. Bartol. In l. quo minus num. 27 de flum., Roch. de Cur. de con suet. sect. 4 cap. Fin n. 77, Surd. cons. 127, Thesaur. decis. 16, Capyc. decis. 219, Rovit. super dict. Pragm. 14, ove: Neque in hoc operator aliquid solitum, quantumvis antiquissimum, quia in his, quae sunt merae facultatis, prout in hoc casu; cessante jure proibendi praescriptio nullum habet locum, l. viam publicam D. de via publica.

Due requisiti richieggonsi, acciò la prescrizione immemorabile abbia luogo, cioè la proibizione del Barone, e la pazienza de’ Vassalli; e dalla acquiescenza di essi al divieto nasce questa, così scrissero Ceppola de servitut. urb. cap. 60, Capiblanc. part. I  de Baronibus, Novar. de gravam. Vassall. grav. 58. E’ necessario però, che il divieto, e l’acquiescenza sia stata generale.

Che i Naturali di Farinola siano andati a macinare nel Molino di Penne, non si niega; ma per elezione, non già per necessità; per loro comodo, non già per effetto di proibizione. Che se tal volta, siccome spesso è accaduto, sono andati in altri Molini, chi gli ha impediti? chi gli ha castigati? Certamente a niuna pena han soggiaciuto.

Ma a che sognar prescrizione, e consuetudine prima, e dopo l’accennata Prammatica dell’Imperador Carlo V, qualora l’Università di Farinola ha articolato, e con Testimoni d’ogni eccezione maggiori ( la maggior parte de’ quali furon conduttori, o sian molinari del Molino di Penne, che furono esaminati nella Ruota della Regia Udienza di Teramo, in virtù di Provisioni della Regia Camera) ha provato: Che  i suoi Naturali siano stati sempre soliti di portare il loro grano, e le biade in ogni Molino, che loro è piaciuto da tempo immemorabile, e in ogni tempo senza timore, o impedimento alcuno? Alle volte nel Molino degli Armenj nel tenimento di Farinola, prima che si fosse renduto diruto; alle volte nel Molino de’ Canonici della Città di Penne; altre nel Molino della Terra di Castiglione di Messer Raimondo; ora in quello della Terra di Bacucco; ora in questo della Città di Penne, che possiede nel tenimento, e territorio di Farinola; e ora in altri a lor piacimento, senza che mai siano stati impediti, né contraddetti da persona alcuna; che per esser il mentovato Molino di Penne situato in luogo molto vicino alla Terra di Farinola meno di un quarto di miglio, e perciò, come più comodo e vicino all’istessa Terra, i Naturali e abitanti della medesima, anche senza gli animali, e specialmente le donne si son portate in esso a macinare, e negli altri sopradetti Molini secondo il piacimento di cadauno. E maggiormente ebbero motivo di andare in altri Molini, e non in quello della Città; accagionchè negli altri in tutto l’anno si pagano misure tre, e in quello della Città dal dì di S. Pietro per tutto Decembre si pagano sei misure per ogni salma, e dal d’ primo Gennajo  in avanti misure tre; il qual risparmio, perché piaceva alla povera gente, era motivo di tralasciare il Molino della Città, e andare altrove a macinare il grano. Che essendo insorta lite tra Farinola, e Penne nell’anno 1724 per alcuni atti di giurisdizione, e per li danni, che i Cittadini di Penne inferivano a quei di Farinola, risentitisi costoro di tali pregiudizj, proccurò la Città di Penne far emanar bando, che niuno de’ Naturali, e abitanti di Farinola andasse a macinare in altri Molini, se non che in quello della Città di Penne; tanto che avendo per mezzo di quel Governatore rappresagliata una somiera con due tumoli di grano a Marco Pennella, e due altri a Nicolantonio Romagno, amendue naturali di Farinola, sul motivo che i medesimi erano andati a macinare il loro grano nel Molino de’ Canonici di Penne; e avendone fatto essi i giusti risentimenti, fu ordinato dalla Regia Udienza la restituzione degli animali, e del grano e di tutto quello aveano estorto; l’informazione del solito; e che si emanasse bando per tutta la Città di Penne, che non fossero impediti i Naturali, e abitanti in Farinola di andare a macinare in qualunque Molino loro fosse piaciuto [94].

Non si niega, che vi siano alcuni Dottori, i quali hanno scritto, che nell’immemorabile non vi sia bisogno provare la proibizione, e la pazienza, Rovit. super Pragm. 14 de Baron. etc. Ma la comune dè Dottori stabilisce che in facultativis non cadit praescriptio, nisi a die prohibitionis et patientiae, riferiti da Larrea alleg.69; o come il dottissimo Covarruv. distingue § 4 par. 2 de praescript. Num. 6, cioè, o si allega l’immemorabile in vim [?], e non è il caso nostro, poiché la Città non ha jus prohibendi, che nasca dalla Concessione: o in vim praescriptionis, quasichè  per mezzo di questo corso sia indotta la prescrizione; e conchiude, dopo avere addotti varj Autori, che sostengono l’immemorabile, non procedere senza proibizione: quorum opinio (dice egli) proculdubio communis est, e ne assegna la ragione.

Come dunque, e in qual maniera potrà giammai la Città di Penne provar l’immemorabile? Ubi quaeso sunt legis? (così risponde per noi Fontanella decis. 338) qui de illa immemorabili, quam necessariam esse dictum est cum suis requisitis, deponant? Ubi est consensun Civium, a quo deberet procedere haec consuetudo, vel praesprictio, ut prodesset? Ubi sunt actus positivi, et affermativi, ex quibus jus prohibendi inducatur? Ubi pignoramenta necessaria, et prohibitiones? Nihil horum probatum est,

E se mai la Città provar potesse proibizione, pazienza, convenzione, di niun valore questi atti sarebbero, siccome scrisse la stesso Larrea dict. alleg. 69 n. 29 in fin. Et facit, quod notavit Bertrand. cons.49 vol.3, ut si Vassalli promitterent Domino accedere ad suum Furnum, vel Molendinum, talis promissio praesmitur estorta per vim, et erit rescindenda, ut probavit Nevizan. cons. 43 circa finem; quando subditi proibiti in hoc casu acquieverint prohibitioni, id ex metu fecisse praesumitur; confirmat Natta cons. 106. Ciò sia detto ad esuberanza, poiché non è questo il caso nostro.

Quel che sinora ho riferito è stato ad esclusione del preteso jus prohibendi di andare a macinare ne’ Molini stranieri, ed ho inteso averlo detto nell’ipotesi, che il Molino fosse feudale, e che la Città di Penne avesse il preteso jus prohibendi, e per convincer la medesima, che pur troppo si fortifica nella centenaria. Che a ben riflettere non può la Città di Penne più giovarsi di questo titolo legale, ogni qual volta ha prodotto l’altro particolare di aver ella comperato il Molino cum jure prohibendi dal Conte di Loreto, e da D. Giovannella de Burgo.

Rispetto poi all’altro punto, cioè, che il Comune di Farinola possa edificare altri Molini per proprio suo comodo, e uso, non vi è chi ne dubiti; e per non esser più diffuso, mi rapporto a quel che scrissero Navar. grav. 59 et 60, Tassone Gizzio, ed altri.

Laonde per ogni verso, che si consideri il Decreto della Regia Camera, col quale fu ordinato: Quod Universitas Civitatis Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi, sembra giustissimo, uniformare alle antiche, e moderne giudicature fatte in casi simili: Quotidie (così attesta il Reg. de Ponte lib. I cons. 97) enim videmus in gravamibus Vassallorum provideri contra Barones, quod se abstineat, quando praetendunt aliqua a Vassallis habentia juris resistentiam, nec in promptu docent de titulo; e il Reg. de Rosa in prax.decret civil. così scrisse nel cap.10 n. 82: Terbio, quia jus prohibendi in similibus est de ragalibus, et quondam vectigalis speciem praesert, ut probat Cardin. de Luca de Regalib. discurs. 144 num. 3, et 17. Ex his infertur, quod possesso, quam Baro habet, non est manutenibilis, ut adnotat de Luca ad Praesid. decis.301 num. 10, et Reg. de Marin. lib. I cap. 32, nisi Pribvilegium, ut est in dicta Reg. Pragm.14 de Baron., obtinuerit a Supremo Principe, qui hoc prohibendi jus habet pro publico communique bono, ut apud Josephum de Rosa cons. 70; itaque termino inpartito de justitia pertitorii conosci debet, et interim pronunciandum, quod Baro se abstineat. Tanto  fu praticato dal S.C. nell’anno 1698 a relazione del fu Consigliere D. Pietro de Fusco, siccome ne riferisce la decisione Maradei nell’osserv.11 alla Pramm. 16 de Baron., nella causa tra Cittadini, e il Barone d’Amato; e la decisione su appoggiata a motivi men forti di quei, che si sono addotti, a cagion che si ordinò: Quod respectu X Capitis, ex quoTapeta olearia praedicti Illustris Baronis enunciata in dicto X Capite non sunt descripta in Relevio, liceat Civibus habere alia Tapeta, et denuo construere. Se dunque la sola ragione di non essere stati descritti nel Relevio tanto operò, quanto più operar deve a favor de’ Naturali di Farinola il non aver la Città né Concessione; né Privilegio, né prescrizione, né consuetudine, né pagamenti di quindemj?

Potriansi addurre cento altri esempi, e giudicature consimili; Vaglia però per mille la decisione fatta dal S.R.C. nel 1775 nella causa tra l’Illustre Principe di Melfi e i suoi Vassalli, che non ostante il possesso di due secoli, che avea detto Principe di proibire a’ Vassalli l’accesso ad altri Molini, e costruirne altri, dal S.R.C. fu ordinato: infra quatuor dies audiantur partes, et interim Illustris Possessor se abstineat a praetenso jure  prohibendi [95].

Né può il Regio Fisco impedire, che l’Università di Farinola costruisca altri Molini; giacchè l’acqua che nasce nel suolo del privato, è del padrone dello stesso predio, argument. leg. sed si pecunia § si lapidicinas e ff. de rebus eorum in fin., et leg. seq., quod tamen privatis licet possedere, Andreas in tit. quae Regalia § fulmina navigabilia vers. haec sunt Civitatum, Anna allegat. 79. Il che avviene ancora, se l’acqua entri nel predio privato, e passi per quello; poiché subito che entri nel fondo altrui col corso naturale, si fa dal medesimo per lo disposto nella legge leg.I § illud Labeo de acqua quotid. et aestiva; Sanfelic. Dec. 135 n. 2 ad 4.

Che tale acqua sia privata, non può mettersi in controversia; poiché, come sopra si è detto, riferì il Percettore Provinciale in esecuzione di ordine della Regia Camera: Che il Molino di Penne venga macinante dal fiume denominato Tavo; il quale nasce in Territorio dell’Università di Farinola, corre per il Territorio medesimo, e continuando fa macinare il divisato Molino [96]. E la Regia Udienza in attenzione di Dispaccio riferì parimente: Che l’acqua, per la quale si rendea macinante il Molino di Penne, nasca sul Territorio demaniale di Farinola, e propriamente nel luogo detto la Montagna di Farinola, scorrendo abbondantemente in un Fonte denominato Angre, e diramendosi in un rio scende in giù per l’anzidetta Montagna, là dove unendosi con altr’acqua, che sorge, e scaturisce nel luogo nominato Pertuso, o sia Vallecantarella, forma un fiume chiamato Tavo, il quale passa per lungo tratto sopra i Terreni di Farinola, dentro de’ quali intendea quella Università costruire un nuovo Molino; e successivamente decorrendo rende macinante il Molino di Penne, e diversi altri siti nel territorio di Farinola [97].

Ed ecco nel Teatro di verità, e di giustizia, qual’è il Supremo Tribunal della Regia Camera, La città di Penne povera, ed ignuda d’ogni ragion comparisce, non ostanti i suoi sforzi, i suoi maneggi in far travedere qualchè in verità non è, che il Molino sia feudale col diritto di proibire; e l’Università di Farinola , sebbene povera di uomini, e di forza a fronte della sua potente Baronessa, ornata di validissime ragioni nascenti da fatti certi, e costanti, quanti e quali son quei di non apparire, non che acquisto del Molino fatto da Penne, non Concessione, non Privilegio, non tassa in Cedolario, non pagamento di quindemj: circostanze, senza le quali non può dirsi per legge un Molino feudale; ma né anche legittima prescrizione, o consuetudine antiquata, o non mai contraddetta; per cui dalla libertà di potere i suoi Naturali macinare in altri Molini, o edificarne altri per suo proprio uso, privata sia.

Quindi spero dalla imparzial giustizia della Regia Camera, che, deferendosi al gravame prodotto dall’Università di Farinola avverso l’insufficiente decreto del dì 20 Decembre 1731, col quale si disse: Quod Civitas Pinnarum manuteneatur in possessione, vel quasi juris prohibendi Molendini, quod possidet in Terra Farinulae [98], abbia a giudicarsi, che rimosso il rimedio delle restituzione in integram dalla Città di Penne portato avverso il Decreto del dì 28 Giugno 1729 [99], debba ordinarsi ad essa Città di continuare all’Università di Farinola il pagamento della bonatenenza juxta Catastum in conformità delle Reali di sopra trascritte Istruzioni; giacchè ella stessa la Città dichiarò di essere tal Molino burgensatico allorché nel 1587 ne obbligò la rendita a D. Gio: Battista Fibbioni; e come allodiale lo rivelò nel 1745 nella formazion del Catasto di detta Università di Farinola, per cui ne ha pagata la tassa sino passato anno 1774; E confermandosi il divisato Decreto del 1729, debba restar fermo quelchè non conosciuta giustizia precedente istanza fiscale fu ordinato; Quod Civitas Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi [100]; ed esser qundi lecito all’Università di Farinola di poter edificare altri Molini a suo piacimento per proprio uso de’ soui Naturali

     Caetera Suppleant etc.

                         Napoli il dì  30 di Marzo 1776       

                                                                                               Ferdinando Buccalaro

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[1] Fol. 1. Proc. I. Vol.

[2] Fol. 2. et 4. dict. I vol.

[3] Fol. 7. dict. I.vol.

[4] Fol. 18. dict. I. vol.

[5] Fol. 18. at dict I.vol.

[6] Fol. 24. dict. I. vol.

[7] Fol. 26. dict. I. vol.

[8] Fol. 27. dict. I. vol.

[9] Fol. 33. et 34. dict . I. vol.

[10] Fol. 28. ad 32. dict. I vol.

[11] Fol. 40. dict. I. vol.

[12] Fol. 44. ad 53. dict. I. vol.

[13] Fol. 42. dict. I. vol.

[14] Fol. 85. III. Vol.

[15] Fol. 238. et at. I.Vol.

[16] Fol. 240. et at. Et 241. dict. I.vol.

[17] Fol. 242. dict. I. vol.

[18] Fol. 252. dict. I. vol.

[19] Fol. 250. dict. I. vol.

[20] Fol. 86. ad 89. III. Vol.

[21] Fol. 53. et 54. lit. A. dict. 3. vol.

[22] Fol. 60. et at. Dict. 3. vol.

[23] Come dalla supplica fol. 93. dict. 3. vol.

[24] Fol. 52. et 53. I. vol.

[25] Come dal Ricorso fol. 43, dall’istanza fiscale fol. 43. at. Dal Decreto del Presidente de Maria del dì 23 Agosto 1720. fol. 65., e dalle Provisjoni fol. 67. dict. I. vol.

[26] Fol. 70. dict. I. vol.

[27] Come dalla Relazione fatta al Tribunale dello Scrino Ottavio Galante a’ dì 18 Novembre 1729 fol. 80. et. 81., dall’Udienza rimessa al Viceré fol. 79, e dal Viceré alla Regia Camera con Dispaccio del primo Decembre per le providenze convenienti di giustizia fol. 78. dict. I. vol.

[28] Fol. 82. dict. I. vol.

[29] Fol. 86. dict. I. vol.

[30] Fol. 112. at.dict. I. vol.

[31] Come si ha dalla Relazione dellUditor Tardioli alla Regia Camera, dalla copia del Dispaccio fol. 120 ad 122 dict. I. vol., e dagli atti della Informazione fol. I. ad 41. V. vol. et sign. Fol. 20. 31. et 32.

[32] Fol. 141. ad 198. I. vol.

[33] Fol. 138. dict I. vol.

[34] Fol. 230. dicti I. vol.

[35] Fol. 254. dict. I. vol.

[36] Fol. 40. dict. I. vol.

[37] Fol. 87. dict. I. vol.

[38] Fol. 88. dict. I. vol.

[39] Fol. 125. dict. I. vol.

[40] Fol. 135. dict. I. vol.

[41] Fol. 135. at. dict. I. vol.

[42] Fol. 136. dict. I. vol.

[43] Dict. Fol. 136. et at.

[44] Dict. Fol. 136. at.

[45] Fol. 127. et 128. dict. I. vol.

[46] Fol. 128. at. Dict. I. vol.

[47] Fol. 128. at. dict. I. vol.

[48] Fol. 129. dict. I. vol.

[49] Fol. 131. dict. I. vol.

[50] Fol. 129. at. dict. I. vol.

[51] Fol. 130. et 142. dict. I. vol.

[52] Fol. 199. dict. I. vol.

[53] Fol. 202. dict. I. vol.

[54] Fol. 203. dict. I. vol.

[55] Fol. 202. at. dict. I. vol.

[56] Fol. 204. dict. I. vol.

[57] Fol. 141. at.dict. I. vol.

[58] Fol. 187. et 188. dict. I. vol.

[59] Fol. 188. at.

[60] Fol. 164. ad 186. dict. I. vol.

[61] Fol. 200. et 201.

[62] Fol. 201. at lit. A.

[63] Fol. 189. ad 198.

[64] Fol. 40. dict. I. vol.

[65] Cit. fol. 24. dict. I. vol.

[66] Fol 137. dict I. vol.

[67] Esame fatto per parte dell’Università di Farinola  nella Regia Udienza di Teramo fol. 214. ad 226. dict. I.vol.

[68] Fol. 207. et 208 dict. I. vol.

[69] Fol. 44. ad 51. dict. I.vol.

[70] Fol. 52 et 53. et sign. Fol. 52. at lit. B dict. I. vol.

[71] Fol. 51. at. et 53.

[72] Fol. 83. lit. A. dict. I. vol.

[73] Fol . . . III vol.

[74] Come si rileva dalla precitata Relazione del Razional Carido al fol.80 lit. V. I. Vol.

[75] Fol. 67. lit. S. III Vol.

[76] Fol. 65. a t. dict. 3. vol.

[77] Fol. 67. lit C. dict. 3. vol.

[78] Fol. 66. a t. lit D. et 69. at. Lit. T. dict. 3.vol.

[79] Fol. 68. a t. lit. E dict. 3. vol.

[80] Fol 70. lit. C dict. 3. vol.

[81] Fol. 63. a t. lit. G: dict. 3. vol.

[82] Fol. 65. lit H. dict. 3. vol.

[83] Fol. 83. lit. I. et 84. dict. 3. vol.

[84] Fol. 84. a t. lit K. Dict. 3. vol.

[85] Fol. 91. dict 3. vol.

[86] Fol. 108 lit A. I Vol., et fol. 90 a t. III Vol.

[87] Come si rileva dalla Relazione del Magn. Razional del Cedolario fol.30 lit X ad 31 I Vol.

[88] Fol. 85. et 86. III Vol.

[89] Fol. 238 et a t. I. Vol.

[90] Fol. 86. ad 89. III Vol.

[91] Fol. 257. 261. 263. 265. 269. et 274. I. Vol.

[92] Fol. 252. et 270. dict. I. Vol.

[93] Fol. 33. lit. A I. Vol.

[94] Come dagli Articoli, e dalle deposizioni contesti de’ Testimoni esaminati nel 1732 in Aula Regae Audientiae fol. 206. ad 226. I. vol.

[95] Come dagli Atti del S.C. in Banca di Massa presso lo Scrivano Salfano.

[96] Fol. 70. I. vol.

[97] Fol. 80. et 81 dict. I. vol.

[98] Fol. 254. I. Vol.

[99] Fol. 40. dict. I. vol.

[100] Fol. 18. a t. et 24 dict. I. vol.

 

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